venerdì 6 luglio 2012

Finalmente la sentenza

Cinque anni di sospensione dai pubblici uffici comminati ai vertici della Polizia di Stato coinvolti nel G8 di Genova: una carezza sul volto di delinquenti in divisa. Si, delinquenti in divisa. Nulla, niente, nulla per i criminali che hanno picchiato, torturato gente inerme. Criminali con nome e cognome che potranno continuare, quando vorranno, a fare crimini. Ovviamente la stampa nazionale dà grande risalto a questa sentenza. Soddisfazione condivisa per la "giustizia fatta". Che ipocrisia infinita... Che schifo! Ecco un articolo dignitoso, l'unico che ho trovato.


LA POLITICA ASSENTE
di Livio Pepino, “Il Manifesto”
Dunque la Corte di cassazione ha deciso e ora quel che già sapevamo, nella accezione pasoliniana del termine, è verità giudiziaria Molte sensazioni si rincorrono. Mi tornano alla mente le parole di Sepulveda il giorno dell’arresto del generale Pinochet:
« Scrivo queste righe perché non so fare altro. Abbraccio mia moglie e tutti e due piangiamo. Piangiamo il pianto liberatorio di quanti non abbiamo mai dimenticato, di quelli che non hanno mai smesso di credere nel giorno della minima giustizia. Carmen ed io usciremo a fare un passeggiata, e sentiremo che la pioggia sui nostri volti comincia finalmente a lavare le vecchie ferite».
È questo il primo pensiero. La condanna non solo degli esecutori materiali del massacro della Diaz ma anche dei funzionari che hanno coordinato le operazioni e sono ricorsi al falso per giustificare la mattanza è la vittoria delle vittime che non hanno mai smesso di credere che un minimo di giustizia poteva essere assicurato anche in questo disgraziato Paese. Di quelle vittime e di chi le ha assistite e sostenute.
Il secondo pensiero va ai pubblici ministeri che – spesso soli, osteggiati, isolati nel loro stesso ufficio – hanno continuato, ostinatamente a cercare la verità. Senza di loro oggi avremmo solo il proscioglimento per prescrizione degli autori materiali. Al pensiero si accompagna una riflessione che dovremmo ricordare sempre. Nella nostra storia i frammenti di verità sulle vicende oscure delle istituzioni del Paese sono emersi sempre grazie all’intervento contrastato di alcuni piccoli giudici o pubblici ministeri, mentre gli apparati depistavano.
Il terzo pensiero va al fatto che la decisione dei giudici si è dovuta fermare di fronte alle lesioni per l’intervento della prescrizione. Fatto non casuale ma frutto della scelta della politica di evitare l’introduzione del reato di tortura, pur richiesto dall’Europa e dalle disposizioni internazionali. Si tratta di una responsabilità della politica che non sarà lavata dalle lacrime delle vittime di fronte alla sentenza.
Detto questo, va aggiunto che ora tocca al governo fare la sua parte. Le condanne dei funzionari portano con sé la pena accessoria della interdizione dei pubblici uffici. Ciò significa che la catena di comando della polizia sarà decimata o comunque toccata in punti nevralgici. Ciò che la politica non ha voluto fare, pur a fronte delle richieste di tutti i democratici, è ora imposto da una sentenza. Guai se la politica cercasse di ricorrere ad escamotages per evitarlo. Sarebbe un atteggiamento eversivo. Al contrario, i cambiamenti imposti dalle condanne dovranno essere l’occasione per un intervento riformatore della polizia.
I fatti della Diaz non sono stati un “incidente” ma l’esito di una strategia e di una concezione dell’ordine pubblico che è tuttora assai radicata. Attendiamo dal Governo un intervento immediato e profondo. Sono in gioco le sorti della nostra democrazia. E, ancora una volta, c’è voluto un giudice per ricordarlo!

sabato 21 aprile 2012

DIAZ, una storia italiana

Sto pensando al film visto ieri sera. DIAZ. Una storia vera della nostra Italia. Una tragedia umana, ma soprattutto una tragedia per il diritto e le istituzioni. Un film dedicato a tutti benpensanti, un po' superficiali e forse anche poco intelligenti, che si informano ancora con i telegiornali. Eventi gravissimi che il solo guardarli su un grande schermo ti scatenano una rabbia sconfinata. Le balle dei black block per massacrare gente inerme, palle istituzionali raccontate da gente che dovrebbe tutelare la collettività. La mattanza della Diaz e le torture di Bolzaneto. Quei criminali vestiti da poliziotti e i loro puzzolenti vertici hanno un nome, un cognome, una faccia di merda e sono ancora lì, tranquilli. Nenache una sospensione e la concreta possibilità di una bella prescrizione per i crimini commessi. Continuo a ripeterlo da molto tempo. Quando la comunità civile non ce la farà più e reagirà (verbo "reagire") ispirata da una giustificatissima rabbia per quello che è accaduto e ancora sta succedendo a livello istituzionale, verrà tacciata di condotta violenta e illegale. E quella gentaglia si appellerà al diritto, dopo aver più volte violato (anche con la tortura) la dignità umana, e aver utilizzato il proprio potere per manipolare la realtà, vivere nella menzogna, aver violentato gente innocua.
Nel cinema di Piombino scorrevano lacrime e una rabbia civile e silente. Grazie a Daniele Vicari per aver ricostruito, unicamente sulle deposizioni fatte nei tribunali, senza manipolazione alcuna una pagina di cronaca criminale del nostro Paese. Stavolta non c'erano le brigate rosse, i terroristi, i rom, la camorra e la mafia. C'erano la Polizia e il Ministero dell'Interno.
http://www.youtube.com/watch?v=KVysTs75mBI

mercoledì 15 febbraio 2012

Sanremo, Italia.

La guerra, lo spettacolo della guerra. La commedia all'italiana che non fa più ridere e cerca affannosamente qualcosa "di diverso".
Povero Celentano, sgrammaticato e tremolante che mitraglia parole nel mucchio; spara sui preti e sui frati, non sa se fare il filosofo o lo showman. Prisencolinensinainciusol era una parola senza senso che raccontava l'incomunicabilità. Era bella qualche decina d'anni fa; ora che vuole parlare e comunicare fa pietà. Sanremo, Celentano, Morandi, Pupo ecco l'Italia orfana del Cavaliere... Peccato, veramente peccato, per Rocco Papaleo. Va in onda l'immagine dell'Italia provinciale e becera che cerca la santificazione mediatica; un ignorante che urla agli ignoranti, fotografia dell'Italia decadente, soprattutto vecchia. Che tristezza.