martedì 3 agosto 2010

Le Frecce e il Tricolore


Il 24 luglio il lungomare di Castagneto Carducci era affollatissimo. Tutti - tranne pochi - a piedi e in bici per assistere allo spettacolo delle Frecce Tricolori. Evoluzioni e acrobazie nello spazio di un cielo infuocato d'estate. Nasi all'insù e occhi rapiti dalla magia del volo. La spiaggia diventa palcoscenico naturale di un evento che per un paio d'ore ha il potere di monopolizzare l'attenzione, un po' come accade allo stadio quando decine di migliaia di persone seguono le traiettorie di un pallone preso a calci. Giocare con aerei nel cielo non è proprio come giocare a scopone scientifico e l'abilità dei piloti emoziona e catalizza gli sguardi. Su questo non ci sono dubbi.
Quello che avviene in cielo racconta qualcosa di straordinario. Se lo sguardo si abbassa sotto la linea dell'orizzonte osserva cià che accade in terra. Corpi sudati e appesantiti sono l'esatta antitesi del volo. Raccontano la staticità di un popolo videodipendente che scopre il movimento solo in palestra. Tra tanti corpi invasi dall'adipe spiccano di tanto in tanto corpi costruiti in palestra, curati, usati per apparire. Corpi normali pochi. Già perché la normalità intesa come equilibrio, come sobrietà, come essere senza ostentare e apparire è un bene raro. Macchinette digitali e teleobiettivi trasformano in pixel le frecce tricolori. Alberto, dodici anni, aspetta il momento giusto perchè fotografa con una reflex analogica, dunque con pellicola (36 foto a rullino, non centinaia di scatti su un supporto digitale). Un nostalgico ultraquarantenne si fa spazio tra la folla con bandana e pantaloni mimetici, quelli che forse indossa quando gioca alla guerra con gli amici.
Alessandro, con me sulla spiaggia, dice che l'umanità, questa umanità, è diversa da poco tempo fa. Questo sarebbe l'anno di un gran cambiamento, sicuramente irreversibile. Forse ha ragione.
Questo percepisco sulla spiaggia attraverso lo sguardo.
L'udito regala qualcosa di indigesto. Una voce, con l'aiuto di altoparlanti da sagra della frittella, si fa spazio tra risacca, voci, urla e rombi d'aereo. Cerca di illustrare i numeri della pattuglia acrobatica. Indica i momenti adatti per scattare foto ricordo. Poi lascia spazio alle note dell'inno di Mameli e poi quelle di "Apocalisse Mò" (Apocalipse Now, ndr). E in quel momento l'emozione sale, sventolano i tricolori e i fazzoletti. Qualcuno si commuove. Per davvero.
E' in questo preciso momento che vedo la forza delle masse e la vulnerabilità dell'individuo. La massa, mano sul petto e groppo in gola è l'Italia, si sente italiana, si respira incenso patriottico. Gli individui sono quelli che dopo essersi commossi davanti alle frecce e al tricolore, tornano ad abbracciare i valori di una grigia quotidianità i cui simboli, le cui facce sono noti a tutti noi. Davanti al tricolore parte l'applauso generale. Contemporaneamente Alessandro si domanda: "Quanti di questi che applaudono pagheranno le tasse?"

E mentre la pattuglia fa i suoi numeri guardo gli aerei e penso che non sono costruiti per fare spettacoli ma per fare la guerra. Sono costruiti per uccidere. Sono la spettacolarizzazione della cosa più orrenda che sa fare l'uomo. Ma strappano applausi, evocano miti eroici tanto grandi quanto piccolo è il "superuomo".

Il ritorno a casa vede la massa tornare a piedi e in bicicletta perché, per un pomeriggio, Marina di Castagneto ha vissuto il sogno della pedonalizzazione. Fantastico: bambini, famiglie e villeggianti tutti a spasso. Tranne il nostro sindaco e le autorità che, in occasione di grandi e meno grandi eventi, utilizzano eleganti auto blu. Il sogno, come tutti d'altra parte, è breve. Ben presto il flusso delle auto invade le strade scontrandosi con tempi, spazi e movimenti di chi va a piedi e in bicicletta. Convivenza impossibile. Ne fa le spese un signore a piedi scalzi che si vede schiacciare il piede dalla ruota di un automobilista insofferente. Totò, con garbo avrebbe apostrofato il malcapitato "scalzo" accusandolo di avere messo il piede sotto la ruota. Ma il principe Antonio de Curtis non c'era e allora... Urla e bestemmie.
Andrea con moglie e bimbi pedala verso Donoratico. Tutta la famiglia è equipaggiata con casco. Mi avvicino e sottovoce gli dico: "Occhio, siete (siamo) fra i pochissimi a indossare il casco, una rarità... ci faranno la multa?".
Pedalo lentamente nel flusso infastidito da automobili e SUV che "chiedono" spazio e penso a tutte quelle persone che hanno paura di chiudere i centri abitati alle auto. O che forse divulgano la paura delle "inutili pedonalizzazioni".

A un certo punto è un'ambulanza a chiedere insistentemente strada. Passa con difficoltà aprendosi un varco nella folla. Immediatamente, con prontezza, prima una, poi due auto si accodano all'ambulanza sfruttando la scia dell'emergenza per andare più forte degli altri. Al volante gli stessi che pochi minuti prima si commuovevano all'inno di Mameli e applaudivano al tricolore.